Tre domande per alzarsi dal letto

“Tra le strade della mia gente – storie che capitano in parrocchia” di don Guglielmo Cazzulani

A proposito dei giorni in cui sgusciamo al letto, con la voglia di vivere che rimane a dormire, stanchi e delusi da tante piccole sconfitte che alla fine ci tagliano le gambe, c’è un detto ebraico che merita di essere ricordato. Maestro Hillel, vissuto poco prima di Gesù, era un uomo benevolo, non molto accondiscendente verso le durezze delle scuole rabbiniche che avevano reso la Legge un pesante carretto di norme da spingere a forza di braccia.

Ripeteva tre domande: “Se io non sono per me, chi è per me? E se io sono solo per me stesso, cosa sono? E se non ora, quando?” Lette così sembrano una sciarada, ma in realtà coagulano una profonda sapienza.

La prima delle questioni – “se io non son per me, chi è per me?” – insegna ad assumere le responsabilità della vita. Inutile lamentarsi e crogiolarsi in vittimismi, riversando la colpa delle proprie sfortune sul mondo intero, sulla famiglia che abbiamo avuto, sulla società che non ci ha capiti. Alla fine, la prima persona che mi deve essere amica, e che si deve preoccupare per la riuscita dei progetti che ho in mente, non sono gli altri, ma me stesso. Il primo avversario da combattere non è dunque fuori di noi, ma sta accovacciato silenzioso alla porta del nostro cuore. E’ la paura.

Altra domanda: “Se non ora, quando?”.  E’ un invito alla laboriosità, suona come un appello a rompere gli indugi, per affrontare le questioni più spinose, senza rimandare a domani. Non ci si deve trasformare in uomini del “bisognerebbe”, persone cioè che infarciscono di ragionamenti i propositi vaghi, senza mai concepire un programma concreto. Adesso, qui, ora: sono gli avverbi che ci aiutano ad agire con determinazione.

Ma dei tre interrogativi, personalmente prediligo quello che sta in mezzo: “E se io sono solo per me stesso, cosa sono?”.  E’ la domanda più bella che un uomo può rivolgere a se stesso, rappresenta la vittoria sul narcisismo. Come dire: se il motore di ogni azione è la celebrazione del mio piccolissimo “ego”, il desiderio di mettersi in mostra, di essere applauditi dagli altri, di affermarsi socialmente, che cosa mai è questo feticcio se non una maschera ridicola, che presto o tardi qualcuno irriderà?

Nessun altro, tranne noi, deve rimboccarsi le maniche. Lo dobbiamo fare in nessun altro tempo della storia, se non in questo istante, in cui abbiamo la fortuna di vivere. E soprattutto dobbiamo farlo perché coltiviamo nel cuore un sogno altissimo, un granito cui ancorarci, qualcuno di molto più serio del nostro tragicomico “io”.

Cercate il Regno di Dio, e tutto il testo vi sarà dato in più.

 

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