Il Natale del nonno Enrico – parte 1

Molti pensavano che il nonno Enrico fosse un falegname. E in effetti del falegname aveva tutto: la bottega con le macchine chiassose, il banco con gli attrezzi, i capelli e il volto sbiancati di segatura, le mani solcate da profonde cicatrici e perfino il mezzo sigaro, per lo più spento, tra i denti. Perciò la gente gli portava sedie zoppicanti, gli ordinava mobiletti di cucina, lo chiamava d’urgenza a riparare finestre sgangherate. E lui sempre pronto, taciturno, ma interessato, sempre attento a riconoscere a prima vista la venature del legno e il suo valore, a calcolare le ore di lavoro necessarie. Insomma, del falegname aveva proprio tutto. Eppure, quando la bottega, a sera, restava deserta, prima che la moglie lo chiamasse per la cena, si ritirava guardingo in un angolo, traeva da un armadio misteriosi oggetti e iniziata a trafficare attorno ad alcuni pezzi di legno con più assorta concentrazione e non riusciva a trattenere un sorriso beato quando, di tratto in tratto, si fermava a contemplare il suo lavoro.

Eh sì, perché il nonno Enrico era uno scultore, un artista appassionato e amava le statue tutte rifinite, curate fin nei particolari più insignificanti. E da un tronco di pero traeva, a poco a poco, con colpi che sembravano carezze, una Madonna, proprio con quel sorriso stupefatto della sua nipotina, e sul volto di un pastorello metteva la smorfia imbronciata dell’ultimo nato: perché –questo bisogna dirlo- il nonno Enrico era già bisnonno e stava a lungo a spiare i suoi nipotini, anche senza dire una parola, sorridendo, appagato della loro fresca bellezza. Gli faceva un po’ rabbia, a dir la verità, che i nipotini potessero divertirsi con pupazzi di gomma e bambole sfacciate e sciocche, come tutte le cose fatte in serie. E tante volte era tentato di prendere dal suo armadio una statuina da regalare per i loro giochi, ma lo trattenevano la modestia e -forse ancor più- un po’ di gelosia.

Venne dunque il Natale. Sotto l’altare si usava mettere in bella mostra una culla con il Bambino. Quell’anno il sacrestano, distratto, aveva combinato un guaio: mentre stava liberandola dagli stracci che la proteggevano dalla polvere, la statuetta di gesso gli sfuggì di mano, non rimasero che mille cocci variopinti. Il parroco, tratto fuori d‘improvviso dal confessionale e informato del disastro, si trattenne a stento dal mordere un orecchio del povero sacrestano. Ma alla fine era Natale! E allora via di corsa al negozio più vicino a comprare la prima statuetta disponibile.

Mario Delpini

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