Dalla parte degli ultimi

Mi ha sempre colpito sentire parlare di migranti in  termini di numeri e basta, perché quella moltitudine in cammino è fatta di persone, ognuna unica e irripetibile. Ognuna con una sua storia, dei sogni, delle speranze, delle paure,  ognuna simile a noi e al tempo stesso diversa, unica. I casi della vita, l’essere nati  dalla parte sbagliata del mondo, li rendono apparentemente diversi, ma l’umanità è la stessa ovunque, ad Aleppo e a Caleppio, a Kabul e a Settala, a  Baghdad e a Premenugo.

“Sono nigeriano e cattolico, per me l’Italia è il cuore del cristianesimo: mi ha impressionato vedere cattolici come me  che ce l’hanno su coi neri, che ci insultano, che ci attaccano. Italiani con la mia stessa fede che distruggono il nostro cibo. E’ stata la prima volta in vita mia che ho visto dei cristiani razzisti: è stato uno schock”.  Luis Antonio ha 20 anni: dopo il viaggio dalla Nigeria si è fatto due mesi in un campo prigione in Libia, la traversata in barcone del Mediterraneo, fino all’accoglienza “incredibile” in Sicilia. A Lampedusa ha trovato un’isola accogliente, aperta. Ogni famiglia ha donato cibo, vestiti, ha aperto la porta di casa a questi uomini e donne sfiniti. Quindi è arrivato in bus a Treviso. E qui ha scoperto il razzismo cristiano. Era il 16 luglio scorso, Luis era con altri 100 richiedenti asilo, tutti inizialmente destinati a una  trentina di appartamenti in zona, ma tutti respinti dai  condomini: mobili bruciati, televisori e materassi distrutti. Il giorno dopo sono stati trasferiti alla Caserma Serena, rimessa in funzione in 24 ore: non era in pessime condizioni, ma da anni abbandonata. Questo è solo un esempio positivo di come affrontare il problema, anche se la soluzione migliore è quella della  sistemazione in appartamenti, in piccoli nuclei.

La reazione negativa di tanti residenti italiani  è determinata dalla  paura, che è sempre una cattiva consigliera. E dall’ignoranza di chi non vuole usare il cervello per ragionare, ma ha solo reazioni ”di pancia”  per respingere. Sta a noi tentare di far capire loro il vero significato di un’accoglienza che è prima di tutto rispetto per la dignità  delle persone.

Chiederemo a don Paolo Selmi, decano di Milano Affori, come è   riuscito nell’estate sorsa a gestire nella sua Parrocchia di Bruzzano l’arrivo e la permanenza di 120 profughi, donne, uomini e bambini. E a don Mapelli come giornalmente riesce a risolvere il flusso di migranti attribuiti alla Caritas Milanese dalla Prefettura.

Alberto Allevi

 

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