Ringraziamento al Comune di Settala
La parrocchia S. Ambrogio ringrazia l’Amministrazione comunale per il contributo di €15.000 a favore del restauro della torre campanaria e dell’orologio.
La parrocchia S. Ambrogio ringrazia l’Amministrazione comunale per il contributo di €15.000 a favore del restauro della torre campanaria e dell’orologio.
Curiosità
L’antico cimitero
Fino alla fine del Settecento, il cimitero di Settala si trovava proprio dietro l’abside della chiesa di Sant’Ambrogio.
Nel 1784, le nuove disposizioni in merito ai luoghi di sepoltura, a cui si aggiunsero le dimensioni ormai insufficienti della vecchia necropoli, resero necessaria la costruzione di un nuovo cimitero. I lavori iniziarono nel 1786, per concludersi il 2 luglio 1816 con la solenne inaugurazione dell’attuale cimitero.
Qua la mano
Come molti settalesi della precedente generazione ricordano, l’attuale canonica di Settala è stata teatro delle riprese della commedia italiana del 1980 Qua la mano.
Il film si suddivide in due episodi: Sto così col papa e Il prete ballerino. Proprio quest’ultimo ha come protagonista il simpatico e stravagante Don Fulgenzio, parroco di un paesino di provincia con la passione per il ballo (in particolare la disco-music!) e degli scherzi, interpretato dal celebre attore e cantante Adriano Celentano.
L’ambientazione degli episodi della vita quotidiana di Don Fulgenzio è costituita proprio dai locali della canonica di Settala, ma non mancano scene girate nella chiesa di Sant’Ambrogio, sia per i momenti dedicati alle celebrazioni religiose sia per i balli sfrenati di Don Fulgenzio, rigorosamente al centro della navata.
Guarda qui!
Beato Manfredo Settala
Del Beato Manfredo, vissuto tra il dodicesimo e il tredicesimo secolo, non si sa molto. Egli apparteneva alla nobile famiglia milanese dei Settala, di cui si ricordano uomini illustri come: San Senatore, arcivescovo di Milano nel V secolo; Enrico, arcivescovo di Milano dal 1213 al 1230; Lanfranco, abate di Chiaravalle, morto nel 1355; e Francesco, vescovo di Viterbo, morto nel 1492.
Manfredo però, rinuncio alla posizione sociale di cui godeva la sua famiglia. Inizialmente fu parroco di Cuasso, allora sotto la diocesi milanese; successivamente lasciò la cura pastorale per dedicarsi alla vita eremitica e si ritirò sul Monte San Giorgio, la solitaria montagna collocata tra i bracci meridionali del Ceresio.
Un avvenimento della vita del beato è citato in un manoscritto della Biblioteca Ambrosiana, della seconda metà del ‘700. L’autore, Giovanni Antonio Triulzio, racconta: “La sua fama di santità si diffondeva, e da molte persone era visitato, che da lui erano spiritualmente consolate. Gli abitanti di Olgiate, paese della Diocesi di Como, alquanto vicino a quella spelonca, essendo colpiti da epidemica malattia che li portava alla morte subitaneamente, andarono supplichevoli a visitarlo. Egli promise loro la liberazione da quella epidemia, se avessero fatto voto a Dio di recarsi alla tomba di S. Gerardo, morto quaranta giorni prima a Monza. (…) Gli Olgiatesi fecero il voto, l’adempirono e furono liberati da quel morbo.”
Infatti, verso il 1207, gli abitanti di Olgiate Comasco, afflitti da mortale contagio, chiedevano al beato scampo e conforto. Il santo eremita li esortò a recarsi in pellegrinaggio alla tomba di San Gerardo, che da poco era morto a Monza (6 giugno 1207). Compiuto il pellegrinaggio, il morbo scomparve ed il popolo di Olgiate eresse una chiesa dedicata al Santo (divenuta poi meta di pellegrinaggi, nonché restaurata ed abbellita nel 1938).
Il beato morì il 27 gennaio 1217 e la tradizione racconta che le campane si misero a suonare da sole. Questo fatto fu interpretato da tutti come segno di un avvenimento straordinario e si pensò alla morte di Manfredo, ritirato sul Monte San Giorgio. Gli abitanti delle terre circostanti accorsero sul monte e constatarono, infatti, la morte del Beato.
Un ulteriore fatto tramandatoci è la contesa riguardo al luogo della sepoltura del beato. Si tramanda che, poiché vari paesi ne rivendicavano l’onore e non essendo possibile conciliare gli animi discordi degli abitanti, fu deciso di rimettere il giudizio alla Divina Provvidenza. Il corpo del beato venne quindi adagiato sopra una slitta tirata da due buoi non ancora domati, con l’intenzione di seppellire il beato nel paese verso cui i buoi si fossero indirizzati. Il corpo del Settala fu sepolto nella plebana di Riva S. Vitale, ai piedi del monte S. Giorgio e successivamente, nel 1633, venne collocato in un’urna preziosa posta sotto la mensa dell’altare maggiore, dove si trova tuttora. Sulle pareti del presbiterio due belle tele di Giov. Batt. Bagutti (1774-1823) di Rovio raffigurano il trapasso del beato nella solitudine montana ed il suo trasporto dal S. Giorgio alla plebana di Riva.
La festa liturgica si celebra il 27 gennaio e la vigilia della festa si usa ancora distribuire in tutte le famiglie il pane benedetto. Questa consuetudine è spiegata nelle cronache e nei martirologi degli storiografi, secondo cui la distribuzione del pane in occasione della festa del beato deriva dal fatto che molti fedeli per onorare il Beato Manfredo erogavano in vita o in punto di morte parte della sostanza di loro proprietà (terreni, capitali) in modo che, coi redditi degli stessi, nella vigilia della sua festa (cioè il 26 gennaio) si distribuisse, previa benedizione, alle famiglie di Riva, una certa quantità di pane. Si formò così l’opera pia denominata “Elemosina del pane del Beato Manfredo”.
L’altare e gli arredi marmorei della Cappella dei Santi Giacomo e Filippo, come pure quelli delle altre cappelle laterali, provengono da una celebre chiesa milanese oggi perduta, che per secoli fu la seconda chiesa più grande di Milano dopo il Duomo: San Francesco Grande.
Costruita nella zona di piazza Sant’Ambrogio come cappella cimiteriale dedicata ai martiri Nabore e Felice, la chiesa era diventata alla metà del XIII secolo proprietà dell’ordine francescano, che proprio l’arcivescovo Enrico Settala aveva accolto a Milano nel 1221. I Francescani decisero di costruire una nuova chiesa, dedicata al loro fondatore, che custodiva le reliquie della basilica precedente e che nei secoli successivi si ampliò, accogliendo le sepolture delle più illustri famiglie di Milano. Ma San Francesco Grande è celebre soprattutto per aver ospitato, nella Cappella della Concezione, un capolavoro assoluto della storia dell’arte: la seconda versione della Vergine delle Rocce di Leonardo da Vinci (1452-1519), oggi conservata alla National Gallery di Londra.
È possibile vedere la scheda dell’opera a questo link: https://www.nationalgallery.org.uk/paintings/leonardo-da-vinci-the-virgin-of-the-rocks
In età napoleonica la chiesa divenne prima magazzino, poi sede dei Veliti Reali di Napoleone. Nel 1806 si decise di abbattere l’edificio, per costruire una caserma militare. Prima della distruzione, molti illustri cittadini si attivarono per trasferire oggetti e opere d’arte in altri edifici sacri; tra questi, ci furono anche i Settala. La nobile famiglia riuscì a salvare non solo alcuni altari della chiesa, che rischiavano di scomparire per sempre, ma anche il corpo di Enrico Settala, arcivescovo di Milano dal 1213 al 1230. Sulla parete meridionale della navata, tra la prima e la seconda cappella, si conserva ancora oggi la lapide della sepoltura originaria, sormontata dallo stemma dell’arcivescovo.
Parte integrante dell’altare marmoreo è un paliotto in argento, utilizzato come reliquiario.
Curiosità:
Come è cambiato il rito del battesimo?
Al principio e nei primissimi secoli il battesimo veniva conferito ovunque capitasse.
Con la pace costantiniana, invece, la Chiesa incominciò a costruire edifici sacri e introdurre nuove usanze. Molti, per devozione, desideravano farsi battezzare nel Giordano, come nel caso dell’imperatore Costantino. Tuttavia, come regola, il battesimo veniva amministrato nell’interno delle chiese o meglio nei battisteri.
Il battistero era un edificio speciale, di forma circolare od ottagonale, generalmente distinto dalla basilica, da cui dipendeva. Spesso era dedicato a San Giovanni Battista. Esso consisteva soprattutto in una piscina situata al centro dell’edificio e vi si accedeva tramite dei gradini.
A volte il battistero si trovava nella chiesa stessa, vicino alla porta d’entrata (come nel caso della nostra chiesa settalese), e il fonte battesimale, invece che essere una piscina, consisteva in una o in diverse bacinelle, da cui si attingeva l’acqua per spanderla sul capo del catecumeno. Questa disposizione poco a poco prevalse, ed ancor oggi si riscontra nella maggior parte delle chiese.
Nella Cappella del Rosario sono ospitati i più antichi affreschi della chiesa, riscoperti solo nel 1994.
Sulla destra, è raffigurata in primo piano una figura femminile, che sembra stia reggendo con forza un oggetto appuntito: potrebbe essere Giuditta, l’eroina biblica che uccise il generale Oloferne. La scena si svolge in un paesaggio montano, dominato da Dio Padre e da una schiera di angeli musicanti. Una lunetta nella parte superiore mostra San Domenico inginocchiato, che regge due corone del rosario. Preziosissima è l’iscrizione posta tra la scena inferiore e la lunetta, che riporta l’anno di esecuzione della decorazione: 1580.
Più danneggiato è invece l’affresco strappato della parete opposta. Al centro compare la Vergine con il Bambino, accompagnata da angeli e circondata da piccoli riquadri raffiguranti i Misteri del Rosario. Si tratta di una raffigurazione precoce di questa iconografia: la Compagnia del Rosario era stata infatti istituita nel duomo di Milano il 25 marzo 1584. A quell’epoca a Milano i domenicani avevano già fondato due compagnie del Rosario, a Santa Maria della Rosa e in Sant’Eustorgio. Era nata in questa circostanza una nuova iconografia, che presto si era diffusa in tutta la diocesi di Milano: la Vergine circondata dai Misteri del Rosario.
Risale agli anni Novanta la decorazione della lunetta superiore, affidata a Elena Meo Paglioli dal parroco don Giovanni Brovelli: raffigura don Francesco Fiazza, fondatore dell’Istituto delle Suore Domenicane del Santo Rosario di Melegnano; sullo sfondo, appare la chiesa di Sant’Ambrogio.