Cappella dei Santi settalesi

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Beato Manfredo Settala

Del Beato Manfredo, vissuto tra il dodicesimo e il tredicesimo secolo, non si sa molto. Egli apparteneva alla nobile famiglia milanese dei Settala, di cui si ricordano uomini illustri come: San Senatore, arcivescovo di Milano nel V secolo; Enrico, arcivescovo di Milano dal 1213 al 1230; Lanfranco, abate di Chiaravalle, morto nel 1355; e Francesco, vescovo di Viterbo, morto nel 1492.

Manfredo però, rinuncio alla posizione sociale di cui godeva la sua famiglia. Inizialmente fu parroco di Cuasso, allora sotto la diocesi milanese; successivamente lasciò la cura pastorale per dedicarsi alla vita eremitica e si ritirò sul Monte San Giorgio, la solitaria montagna collocata tra i bracci meridionali del Ceresio.

Un avvenimento della vita del beato è citato in un manoscritto della Biblioteca Ambrosiana, della seconda metà del ‘700. L’autore, Giovanni Antonio Triulzio, racconta: “La sua fama di santità si diffondeva, e da molte persone era visitato, che da lui erano spiritualmente consolate. Gli abitanti di Olgiate, paese della Diocesi di Como, alquanto vicino a quella spelonca, essendo colpiti da epidemica malattia che li portava alla morte subitaneamente, andarono supplichevoli a visitarlo. Egli promise loro la liberazione da quella epidemia, se avessero fatto voto a Dio di recarsi alla tomba di S. Gerardo, morto quaranta giorni prima a Monza. (…) Gli Olgiatesi fecero il voto, l’adempirono e furono liberati da quel morbo.”

Infatti, verso il 1207, gli abitanti di Olgiate Comasco, afflitti da mortale contagio, chiedevano al beato scampo e conforto. Il santo eremita li esortò a recarsi in pellegrinaggio alla tomba di San Gerardo, che da poco era morto a Monza (6 giugno 1207). Compiuto il pellegrinaggio, il morbo scomparve ed il popolo di Olgiate eresse una chiesa dedicata al Santo (divenuta poi meta di pellegrinaggi, nonché restaurata ed abbellita nel 1938).

Il beato morì il 27 gennaio 1217 e la tradizione racconta che le campane si misero a suonare da sole. Questo fatto fu interpretato da tutti come segno di un avvenimento straordinario e si pensò alla morte di Manfredo, ritirato sul Monte San Giorgio. Gli abitanti delle terre circostanti accorsero sul monte e constatarono, infatti, la morte del Beato.

Un ulteriore fatto tramandatoci è la contesa riguardo al luogo della sepoltura del beato. Si tramanda che, poiché vari paesi ne rivendicavano l’onore e non essendo possibile conciliare gli animi discordi degli abitanti, fu deciso di rimettere il giudizio alla Divina Provvidenza. Il corpo del beato venne quindi adagiato sopra una slitta tirata da due buoi non ancora domati, con l’intenzione di seppellire il beato nel paese verso cui i buoi si fossero indirizzati. Il corpo del Settala fu sepolto nella plebana di Riva S. Vitale, ai piedi del monte S. Giorgio e successivamente, nel 1633, venne collocato in un’urna preziosa posta sotto la mensa dell’altare maggiore, dove si trova tuttora. Sulle pareti del presbiterio due belle tele di Giov. Batt. Bagutti (1774-1823) di Rovio raffigurano il trapasso del beato nella solitudine montana ed il suo trasporto dal S. Giorgio alla plebana di Riva.

La festa liturgica si celebra il 27 gennaio e la vigilia della festa si usa ancora distribuire in tutte le famiglie il pane benedetto. Questa consuetudine è spiegata nelle cronache e nei martirologi degli storiografi, secondo cui la distribuzione del pane in occasione della festa del beato deriva dal fatto che molti fedeli per onorare il Beato Manfredo erogavano in vita o in punto di morte parte della sostanza di loro proprietà (terreni, capitali) in modo che, coi redditi degli stessi, nella vigilia della sua festa (cioè il 26 gennaio) si distribuisse, previa benedizione, alle famiglie di Riva, una certa quantità di pane. Si formò così l’opera pia denominata “Elemosina del pane del Beato Manfredo”.

 

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Paola Selmi